Vinitaly 2017 è stata forse l’edizione migliore degli ultimi anni. Il dato più positivo è stato un aumento dell’8% dei buyer esteri (circa 30 mila in tutto, sia europei sia extra-europei). Contemporaneamente, a fronte di una leggera diminuzione dei visitatori totali (128 mila in tutto; 2 mila in meno rispetto al 2016) è aumentata la frequenza degli operatori italiani del Food & Wine (distributori, titolari e operatori di enoteche, wine bar, ristoranti, ecc.), ed è invece diminuita sensibilmente quella dei semplici “appassionati”, una categoria di visitatori che purtroppo nelle ultime edizioni si era rivelata spesso troppo “rumorosa”.
Insomma, l’ente Fiera ha lavorato bene, ed è riuscito a rilanciare l’evento in maniera più chiaramente e decisamente rivolta ai professionisti del settore.
Nonostante le buone notizie, Vinitaly è comunque sempre una fiera poco internazionale dal punto di vista della provenienza degli espositori. Infatti, le cantine italiane hanno coperto ben oltre il 90% del totale. Ai pochi espositori esteri era riservato un padiglione piccolo e decentrato, che però ha ricevuto più visitatori che nelle scorse edizioni. Rimane da capire quanti di questi visitatori erano buyer e quanti semplici wine lover.
Tuttavia, l’affollamento del padiglione internazionale è probabilmente il segno di un aumento dell’interesse generale degli italiani verso i vini esteri. Credo che sia una tendenza molto positiva, perché, anche se il mercato italiano del vino è dominato dai prodotti locali (come è normale che sia in un paese che ogni anno continua ad alternarsi con la Francia al top delle classifiche di produzione, sia per volume sia per valore), sono sempre di più i consumatori italiani che cercano vini di altre tradizioni.
Certo, il nostro mercato non è paragonabile a quelli di altri paesi produttori come per esempio USA o Germania, caratterizzati, oltre che da prodotti locali, anche da tante offerte internazionali. Tuttavia, rispetto anche a soli dieci anni fa, nelle enoteche italiane è possibile trovare tanti più vini stranieri (che non siano francesi, e che non siano Champagne). Spero che si continui ad andare in questa direzione. Ecco alcune delle ragioni principali.
Una maggiore disponibilità di vini stranieri di qualità (e ce ne sono tanti) agirebbe da fattore evolutivo positivo, perché solleciterebbe diversi produttori italiani a migliorare ulteriormente la qualità della loro offerta e a mantenerla in linea con i gusti moderni. Un mercato più vario e un aumento della qualità generale contribuirebbero anche a equilibrare i prezzi, abbassando quelli dei vini stranieri e alzando quelli dei vini italiani prodotti da cantine di qualità (come è giusto che sia).
Il confronto e la concorrenza con i vini stranieri solleciterebbero anche un aumento della qualità della comunicazione (online e offline) del vino in generale, sia da parte dei produttori sia da parte dei venditori al dettaglio (per esempio, attraverso carte dei vini più ricche di dettagli importanti, come le indicazioni dell’anno di vendemmia, dei vitigni usati nei blend, o anche di pochi ma importanti fatti fondamentali sulle tecniche di produzione).
Più varietà, più qualità e più cultura del vino porterebbero a un aumento graduale del numero di consumatori di vini di qualità, e dunque a un aumento dei ricavi, nonostante il contemporaneo aumento del prezzo medio delle bottiglie.
Infine, è improbabile che la domanda estera di vino italiano (esportiamo quasi la metà del vino che produciamo, e ogni anno il valore delle esportazioni aumenta) possa essere influenzata negativamente da quanto vino importiamo. Al contrario, lo scenario che ho descritto contribuirebbe facilmente a posizionare meglio sui mercati internazionali i prodotti italiani, sia in termini di qualità sia in termini di prezzi.
In ogni caso, sarà difficile che Vinitaly diventi paragonabile a ProWein, la grande fiera internazionale del vino di Duesseldorf, soprattutto perché la Germania non può contare su un’offerta locale ricca come quella italiana (ma attenzione al cambiamento climatico, che in pochi decenni potrebbe anche favorire un aumento delle varietà di uva coltivabili in una Germania meno fredda, e una diminuzione di quelle coltivabili in un’Italia più calda!).
Però tanti buyer continuano a preferire ProWein a Vinitaly proprio perché lì possono alimentare comodamente il loro portfolio di vini internazionali, mentre a Verona trovano quasi solo vini italiani. Una maggiore presenza di vini stranieri in Italia attrarrebbe a Vinitaly più cantine straniere. Ma allora aumenterebbe anche l’affluenza di importatori e distributori stranieri, attratti appunto da un’offerta più varia. Ancora una volta, non credo affatto che una fiera più internazionale influenzerebbe negativamente l’export, a meno che gli espositori italiani non siano in grado di reggere il confronto.
Dal punto di vista della comunicazione, i produttori italiani tendono sempre di più a sottolineare la tipicità geografica della loro offerta. Non solo a livello di regione (come è già evidente anche in fiera), ma anche a livello di micro-territorio. Al centro della comunicazione moderna del vino (in Italia come altrove) c’è quell’amalgama un po’ magico di geologia, clima e tradizione vitivinicola chiamato “terroir.” Anche questa tendenza è assai positiva, e la grande varietà geografica dell’offerta italiana (vanto del nostro paese) è certamente una condizione ideale.
Credo che un mercato interno più internazionale in cui la competizione avviene sempre di più fra territori e sempre di meno fra nazioni sarebbe un mercato qualitativamente migliore, perché più aderente alle logiche naturali della produzione vinicola: il vino di qualità non è necessariamente quello prodotto in Italia (o in Francia, in Argentina, ecc.), ma quello prodotto in un certo modo e in un certo territorio limitato particolarmente favorevole.
L’internazionalizzazione del mercato italiano del vino (incluse le fiere come Vinitaly) sarebbe dunque anche un’occasione per spostare ancora di più l’accento dalle nazioni alle regioni e al livello micro-geografico, in linea con le giuste tendenze dei produttori, e con l’interesse di un numero sempre più alto di consumatori informati.